Il 10 giugno a Saint Paul, Minnesota, è stata abbattuta una statua di Cristoforo Colombo. La notizia ha generato molte polemiche, questa è una mia riflessione a sfondo storico.
Il 12 ottobre 1931 a Saint Paul arrivarono italiani da tutta l’area del Northwest e c’era anche la banda musicale. Era un giorno importante: quello dell’inaugurazione della statua di Cristoforo Colombo.
La Columbus Memorial Association, un’associazione di italo-americani, la offrì in regalo allo Stato del Minnesota. A realizzarla era stato uno scultore conosciuto come Charles Brioschi, anche se il suo nome di battesimo era Carlo: nato a Milano nel 1879, emigrò negli Usa nel 1899. Lo aiutò un altro scultore italiano emigrato negli Stati Uniti, Leo Lentelli.

A pagare per la statua furono gli stessi italo-americani della Columbus Memorial Association. Raccolsero, pare, un milione di lire, e questo in un periodo particolarmente duro: gli anni appena successivi alla grande depressione del 1929.
Quel 12 ottobre 1931 fu, dunque, un giorno importante per la comunità italo-americana. La comunità dei wop, o dei dago, come venivano chiamati, spregiativamente: poveri, cattolici, spesso ignoranti, quasi neri. Anzi, proprio neri, a sentire i proprietari delle miniere del Northwest. Tanto che erano considerati antropologicamente diversi e razzialmente inferiori, come altri migranti provenienti dall’Europa del Sud.
Quel giorno, però, era festa ed erano arrivati in migliaia per vedere l’inaugurazione della statua di Colombo: finalmente un riconoscimento pubblico del loro ruolo nel Paese. Fu letto persino un telegramma del presidente Hoover. Adesso erano americani anche loro, non c’erano più dubbi: c’era il loro simbolo in una delle piazze importanti della città.
Fu, dunque, un momento di inclusione.
Ma, paradossalmente, fu anche un momento di esclusione: Colombo veniva descritto come lo scopritore dell’America, come se prima di lui non ci fossero stati altri abitanti. Come scrive lo storico De Carlo: “la storia dei nativi americani fu deliberatamente cancellata e le storie del colonialismo non furono riconosciute”.
Negli anni scorsi ci sono state diverse petizioni con cui i nativi chiedevano di sostituire la statua con un’altra che fosse scelta dalla loro comunità.
I monumenti, ovviamente, non sono solo ferro e pietra. Ma non sono nemmeno solo storia. A volte dicono di più sulla comunità che li costruisce che non sui personaggi che rapresentano.
Questo perché sono un’espressione della memoria pubblica in un determinato periodo. Danno forma ai valori che, in un dato momento, una comunità decide di scolpire e lasciare ai posteri. Non sono valori neutri, né assoluti. E del resto non ha caratteri assoluti nemmeno la stessa comunità: può includere o escludere gruppi di popolazione a seconda delle circostanze.
Per anni, negli Stati Uniti, come nel resto del mondo, una parte della storia è rimasta sottotraccia, non c’era nei monumenti né era parte della memoria pubblica. Era una storia che non aveva voce perché non aveva chi gliela potesse dare nella comunità.
La discussione, dunque, non dovrebbe essere sulla statua in sé ma sui valori di una comunità, su chi ha una voce per farne parte e chi, invece, rimane escluso non solo dalla comunità ma anche dalla sua storia e dai suoi simboli.
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