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Ho comprato questa piccola raccolta di racconti ad Hannover, Linden-Nord, il quartiere di Charlotte. Pioveva e per ripararci eravamo entrati in una libreria antiquaria sulla Limmerstrasse, al numero 60, l’Antiquariat Wilder.
Il cielo nuvoloso aveva lo stesso colore grigio della moquette del negozio, e per contrasto i libri sugli scaffali sembravano ancora più colorati.

Antiquariat Wilder, Hannover
Antiquariat Wilder – Hannover

C’erano bellissime edizione delle fiabe dei fratelli Grimm, aperte su dei leggii alle pagine con le più belle tavole colorate. E poi intere scatole piene di libriccini della Insel Verlag, con le loro copertine sgargianti ma un po’ ingiallite dagli anni.
Proprio a questa serie appartiene la raccolta di Heinrich Böll, che ho preso perché in quei giorni avevo da poco finito “Il treno era in orario” e “Il pane dei verdi anni”, entrambe opere giovanili che raccontano la guerra e la sua fine.
Queste tre satire, invece, hanno un carattere diverso e furono pubblicate più tardi. La mia edizione è del 1963, ma la prima delle tre satire, “La raccolta di silenzi del dottor Murke” fu pubblicata per la prima volta nel 1955.

Il dottor Murke lavora alla radio pubblica e gli viene dato l’incarico di correggere alcune registrazioni del “grande Bur-Malottke”, saggista, filosofo, scrittore. La correzione è semplice ed è lo stesso Bur-Malottke a richiederla: si deve sostituire la parola “Dio” con la formulazione “quell’essere superiore che veneriamo”. E questo perché Bur-Malottke ha avuto dei ripensamenti.
L’operazione, però, non è facile: ogni volta che la parola Dio compare, la si deve tagliare e montare, al suo posto, la nuova espressione. Che, ovviamente, dev’essere declinata in vari casi, da usare, come il tedesco prevede, a seconda dell’occasione.
Un compito ingrato, per il dottor Murke, che deve mettere la sua intelligenza a servizio del grande intellettuale e di quello che sembra solo un capriccio ma costa ore di lavoro.
Murke, però, in un certo senso si rifa di questo tempo perso raccogliendo silenzi: pause inutili, sospiri, tutti i tempi morti da eliminare, e che vengono tagliati, li conserva in una scatola da biscotti gialla.
“Cosa c’è nella scatola?” gli chiede un collaboratore


“Raccolgo un particolare tipo di resti”
“Che tipo di resti?” chiese Humkoke
“Silenzi”, disse Murke, “io raccolgo silenzi”.


Quei ritagli di silenzio, Murke li incolla uno dopo l’altro e poi ascolta il nastro quando è a casa.
“Non è ancora molto, ho appena tre minuti” racconta, e poi, come per giustificarsi “del resto non si sta molto in silenzio” (“Es wird ja auch nicht viel geschwiegen” (p.33).
La raccolta di Murke è totalmente irrazionale, e qui, forse, sta il suo piccolo gesto di ribellione in un’epoca -quella del miracolo economico, il Wirtschaftwunder– che sarà contrassegnata dall’aumento dei consumi e dal conformismo.

La nave, simbolo della Insel Verlag (si potrebbe tradurre con “edizioni isola”)


A fare i conti con il conformismo si trova anche il protagonista di Der Wegwerfer, in italiano tradotto come “Il cestinatore”. Letteralmente, “colui che getta via”.
Il cestinatore lavora in una grande azienda, la Ubia, e il suo compito è quello di smistare la posta, gettando quella inutile e facendo, così, risparmiare tempo ai dipendenti.
Quello del Wegwerfer, però, non è solo un lavoro, ma un modo di essere. E infatti nel protagonista una propensione all’economia si era già rivelata in età infantile, sotto forma di fastidio quando il padre in pochi secondi gettava volantini di agenzie di viaggio, qualcosa -nota la voce narrante- “che era stato progettato, redatto, stampato, messo in una busta da lettere, affrancato (…) con il sudore di disegnatori, scrittori, stampatori (…) era costato del denaro; tutto questo solo perché poi finisse nel cestino, senza essere degnato neanche di uno sguardo?” (p.58).

C’è, in questo, una satira della società del consumo, che produce per produrre, e in cui lo spreco è un’eventualità che si mette in conto, fa parte della previsione di spesa.
Il cestinatore si allena, cronometra, segna i tempi: quanto ci vuole a esaminare la corrispondenza, separare quella utile da quella inutile, tra i 5 e i 20 secondi, in una lotta contro il tempo che ha l’obiettivo di far arrivare ai dipendenti solo le informazioni utili, scartando tutto il resto, quello che non è degno della loro attenzione. E in questo la satira di Böll è stranamente attuale: è come se il cestinatore fosse un filtro antispam.
Eppure, fatica a far riconoscere il ruolo nella società, e in questo sta la satira sul conformismo: il cestinatore, quando propone la sua idea, viene accusato di nichilismo, persino dichiarato malato di mente, infine licenziato.
Riesce, poi, a trovare la sua strada, pagando, però, lo scotto di una costante sensazione di inadeguatezza.
Di mattina, quando va alla sua compagnia di assicurazioni, a volte ha paura che la metro sia piena degli uomini cui toglie lavoro: stampatori, disegnatori, redattori.


“In un’ora anniento il risultato di 200 ore di lavoro, risparmio alla Ubia altre centinaia di ore” (p.61)


Böll rappresenta una perversione da ufficio, che viene in parte accettata dalla società perché va incontro alla necessità dell’efficienza calcolata al secondo. Questo è il Wegwerfer: un lavoro la cui utilità sta nell’annullare il lavoro degli altri permettendo ai dipendenti dell’azienda di risparmiare tempo e, dunque, all’azienda di ridurre le spese.
Sulla base di questo, il protagonista immagina poi di fondare scuole per insegnare il mestiere e di mettere dei cestinatori negli uffici postali: “Si potrebbero risparmiare energie, valori, intelligenza”. Ma non solo: forse -ipotizza- si potrebbe arrivare al punto che i prospetti sono disegnati, redatti ma non più stampati.

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