A metà aprile gli abitanti della Vallelunga hanno preso in mano i rastrelli e hanno cominciato a pulire i loro prati dai detriti lasciati dalle valanghe. Quelle di gennaio scorso sono state violentissime, tanto che la casa della famiglia Eller, a due passi dalla strada, è stata quasi distrutta: il primo piano spazzato via dalla valanga.
“Era il 22 gennaio, la sera, forse all’orario della Tagesschau (il telegiornale regionale in tedesco, ndr), e poi…ho sentito il rumore”, racconta Heinrich Thöni, proprietario del maso poco più in alto. Gli chiedo se abbia avuto paura per la sua, di casa. Lui risponde di no:”Questo maso, più di cento anni già”, dice lentamente. E’ evidentemente in difficoltà a parlare in italiano. “E’ un maso forte”, aggiunge, senza scomporsi. Davanti a noi, un cumulo di assi di legno spezzate alto oltre due metri in cui, a osservare bene, si nota ancora qualche forma familiare: una sedia, la cornice di una porta, l’anta, forse di un armadio.

Vallelunga, sguardo sull’Austria – Più ci si inoltra nella valle, più diventano evidenti le lingue di neve che hanno invaso i prati e si sciolgono solo ora. Lungo i pendii scoscesi, lavorano circa 30 volontari, abitanti del posto e qualcuno dai Comuni vicini. Per lo più uomini, ma ci sono anche dei bambini e qualche donna. La gente delle valli, tradizionalmente piuttosto riservata, davanti al microfono diventa ancora più timida, e quando poi gli chiedo un’intervista in italiano, inizia lo scaricabarile:”no, chiedi a lui”, “no, italiano no, chiedi a quell’altro”, “c’è un contadino più avanti che lo sa bene”. Niente da fare. Del resto, siamo in una laterale della Val Venosta, a oltre 100 chilometri da Bolzano, mentre per arrivare in Austria bastano 20 minuti. A fondo pagina, una mappa mostra dove ci troviamo. Da Curon, il Comune cui appartengono le case delle valle, fino a Melago, l’ultima frazione, ci sono circa 10 chilometri. Dove la Vallelunga finisce, s’innalzano le montagne, alcune sono già in Austria, un altro Paese. Si ha l’impressione di una via di fuga, tra quei monti, particolarmente difficile da praticare: l’altrove si vede, ma sembra irraggiungibile e, dunque, più che ad allontanarsi, invita a rimanere negli spazi familiari, nella propria valle.
L’aiuto della Provincia. Lungo la strada notiamo un altro contadino al lavoro su un prato punteggiato da mucchi di legna e sfasciumi, a pochi metri una bambina, forse la nipote, anche lei con un rastrello in mano e, più in là, la moglie. Lo osservo un po’ da lontano, prima di rivoglergli la parola. All’inizio io e il mio collega della redazione tedesca, Peter Thalmann, gli parliamo in tedesco. Mi colpisce il suo dialetto duro, pieno di consonanti, una lingua che sa di roccia, come se le parole fossero pietre accatastate una sull’altra, senza gli interstizi, senza il respiro delle vocali. Si chiama Reinhard Patscheider e ci spiega che ha iniziato a lavorare solo da 7-8 giorni, perché fino a poco fa c’era ancora neve. Il caldo è stato improvviso, e più intenso del solito.
Di seguito, la voce di Reinhard Patscheider, contadino. Il livello non è altissimo (l’ho registrato al volo con il cellulare).
Come più intense erano state anche le nevicate di quest’inverno. Ancora non si sa quanti danni abbiano fatot, ma intanto il lavoro non manca. E non mancheranno nemmeno i contributi della Provincia di Bolzano, che dovrebbe risarcire il 70% dei costi. Per ogni ora di lavoro dei contadini della valle, tranne quelle di volontariato, 15 euro verranno rimborsati dalla Provincia.
Una volta ogni cento anni. E’ la frequenza con cui si vedono valanghe come quelle di gennaio scorso, me lo dice Bernhard Kolleman, volontario dei vigili del fuoco locali. “Siamo noi, con il soccorso alpino, ad aver organizzato il lavoro per la giornata di oggi. A comunicarci dove ci sia più bisogno di andare, invece, è il Bauernbund (l’associazione dei coltivatori altoatesini, ndr)”. Bernhard parla un italiano pulitissimo e ha un accento poco marcato. Su cappellino e giacca dei vigili del fuoco ha stampato in grande, a caratteri maiuscoli, il suo soprannome, BERNI. Gli chiedo che lavoro faccia e mi dice che lavora alla centrale idroelettrica, il che spiega il suo italiano. Dev’essere spesso a contatto con colleghi che lo parlano, a differenza di tanti contadini che escono più raramente dalla valle. “Valanghe come quelle di quest’anno ci sono ogni tre generazioni”, insiste. Io ricordo la neve che c’era qui a gennaio, quando ero venuto, sempre per lavoro: era tutto completamente imbiancato.

Anche allora, però, gli abitanti della Vallelunga si erano dati man forte l’un l’altro. “C’è molta solidarietà qui -racconta Berni-. Quando ci sono state le valanghe, molte case erano a rischio. Qualcuno è stato evacuato, ma chi abitava in una posizione meno pericolosa ha ospitato gli altri, e così non c’è mancato niente”. Lo stesso spirito con cui, ora, ci si dà da fare, insieme, per far tornare la valle al suo aspetto normale.
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