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Sarajevo in un giorno di sole d’inizio settembre è più silenziosa di quanto credessi, tanto che anche a qualche metro di distanza si sente lo scorrere della Miljacka. A pochi passi dal fiume, il 28 giugno 1914, Gavrilo Princip esplose i due colpi che uccisero l’arciduca Franz Ferdinand e sua moglie Sophie. Fu l’episodio che diede inizio alla Prima guerra mondiale. Di questa storia ho letto tante volte, e in periodi tanto diversi della vita, dalle scuole elementari a oggi, che mi sembra difficile pensare che si sia svolta proprio qui, a questo incrocio della città in cui mi trovo ora.
A pochi passi dal ponte latino c’è il museo dedicato all’episodio storico, parcheggiata davanti: una riproduzione dell’auto dell’arciduca su cui è poggiata un’uniforme vuota. Di Gavrilo Princip rimane il ricordo, una lapide sul muro.

Una timeline geografica della giornata

Gavrilo Princip e la fine dell’età dell’oro della sicurezza

Gavrilo è la versione serba del nome Gabriele e, per chi crede nei segni, questo Gabriele annuncia la fine dell’età dell’oro della sicurezza, come la definisce Stefan Zweig nel suo capolavoro “Il mondo di ieri”.
L’età dell’oro della sicurezza, però, doveva essere tale più a Vienna, che non a Sarajevo, a Mostar o in altre città della Bosnia e dei Balcani. Quel proiettile che la pistola di Princip sparò contro l’arciduca Francesco Ferdinando, era in canna da tempo. Lo racconta bene Eric Gobetti, nel suo Sarajevo Rewind, quando ricorda che c’erano già stati attentati negli anni precedenti: Bogdan Žerajić nel 1910 sparò cinque proiettili contro il governatore austriaco. Il sesto, se lo sparò alla tempia, suicidandosi senza nemmeno notare che nessuno dei primi cinque colpi era andato a segno.
Lo stesso Princip, con i suoi due compagni di strada visitò la tomba di Žerajiç, nel cimitero di Koševo, come racconta sempre Gobetti.
L’età dell’oro della sicurezza, dunque, in Bosnia doveva avere un aspetto meno dorato e meno sicuro, mentre a Vienna era frutto anche di quello che succedeva nei Balcani: la potenza asburgica che schiacciava altri popoli, annettendo la Bosnia nel 1908.

Gavrilo Princip
Un’immagine di Gavrilo Princip. All’epoca dell’attentato aveva solo 19 anni

Insomma, la storia, come sempre, va osservata da diversi punti di vista. Come scrive Paul Ricoeur:
I racconti che una persona o una comunità costruiscono riguardo a se stessi sono intrecciati con i racconti che altri si trasmettono non solo a proposito di loro stessi ma anche di noi stessi. Noi siamo i personaggi di racconti che altri narrano. Il racconto di gloria compare nei racconti di umiliazione dei nostri vicini, dei nostri avversari passati o presenti, e ciò vale reciprocamente. Questo intrecciarsi dei racconti riflette un fenomeno più profondo, l’intrecciarsi delle memorie stesse”.
(Paul Ricoeur – L’Europa e la sua memoria).

Del resto, Bosnia ed Erzegovina erano state cedute all’impero austro-ungarico già nel 1878 dagli Ottomani. Che la situazione fosse molto tesa, lo dimostra il fatto che quel 28 giugno 1914 c’era già stato anche un altro attentato. Nedeljko Cabrinovic, un sodale di Gavrilo Princip, aveva lanciato una bomba contro il corteo di auto che portavano l’arciduca in città, ma non era riuscito a colpirlo. Il racconto completo è negli atti del processo (in tedesco, qui).

Franz Ferdinand, un erede al trono poco amato

Francesco Ferdinando, così i libri di storia italiani chiamano Franz Ferdinand, non era un personaggio amato, nemmeno in Austria. Stefan Zweig racconta di quando apprese della sua morte, mentre era in un parco a Vienna. La musica di un’orchestrina si interrompe.
“La folla (…) si faceva sempre più fitta, uno trasmetteva all’altro l’inattesa notizia. Ma in omaggio alla verità debbo dire che non si leggeva sui volti particolare sdegno e commozione, perché l’erede al trono non era mai stato amato da popolo”.

E ancora:
“A Francesco Ferdinando mancava invece proprio quello che in Austria è essenziale per una vera popolarità: gentilezza personale, fascino umano e giovialità di modi. Lo avevo osservato a teatro. Se ne stava nel suo palco grande e grosso, collo sguardo gelido e fisso, senza rivolgere una sola occhiata cortese al pubblico, né incoraggiare gli artisti con la cordialità di un solo applauso. Non lo si vide mai sorridere, nessun ritratto lo mostrò in una posa non rigida. Non comprendeva la musica, non amava gli scherzi e sua moglie sembrava altrettanto impettita. La coppia era circondata da un’aria di gelo; si sapeva che il vecchio imperatore l’odiava di tutto cuore, perché non sapeva nascondere con sufficiente tatto la sua impazienza di giungere al potere. Il mio presagio quasi mistico, che da quell’uomo dalla testa di bulldog, dagli occhi duri e freddi, dovesse venire una sventura, non era personale, ma diffuso in tutto la nazione: per questo la notizia del suo assassinio non suscitò profonda commozione. Due ore più tardi non si scorgeva alcun indizio di vero lutto. La gente chiacchierava e rideva e a tarda sera in molti locali pubblici tornò a suonare la musica. Vi furono molti quel giorno in Austria che in segreto trassero un sospiro di sollievo, sapendo tolto di mezzo l’erede del vecchio sovrano, anche perché era molto amato il giovane successore, l’arciduca Carlo.”

Automobile di Franz Ferdinand a Sarajevo
L’automobile su cui Franz Ferdinand attraversava Sarajevo

Da qui, da Sarajevo, si capisce meglio questa freddezza verso Franz Ferdinand, che è anche una distanza dall’impero asburgico. Per qualche momento, mentre sono al centro della città, mi sembra di essere in Turchia. La dominazione ottomana, durata secoli, è ancora più vicina di quanto non mi aspettassi: ha lasciato segni profondi nella cultura, ma anche nella struttura stessa della città.

Un attentato inevitabile nella polveriera d’Europa

E allora l’attentato del secolo, quello che mise fine a un lungo ‘800, la miccia della prima guerra mondiale, acquista un aspetto più ineluttabile.

“L’Europa di oggi è una polveriera e i suoi capi sono come uomini che fumano in un arsenale. Una sola scintilla sarà sufficiente a innescare un’esplosione che ci consumerà tutti. Sarà nei Balcani che qualche maledetta idiozia darà fuoco alle polveri”.  

La frase, attribuita al cancelliere tedesco Otto von Bismarck, sarebbe stata pronunciata nel 1878, durante il congresso di Berlino, e da allora avrebbe accompagnato l’immagine dei Balcani, polveriera pronta a esplodere.
Ad accendere la miccia fu Gavrilo Princip, l’assassino, aveva appena 19 anni ma era ben determinato a compiere il suo gesto. Lo aiutò una coincidenza: dopo il primo attentato, in cui Franz Ferdinand se la cavò per caso, fu deciso un cambiamento di percorso. Il corteo non avrebbe dovuto percorrere l’attuale via berretti verdi, bensì proseguire sul lungofiume. Invece le auto svoltarono, dando una svolta anche alla storia. Si accorsero dell’errore quasi subito, però, e si fermarono per cercare di invertire la rotta. Un momento di pausa di cui approfittò il giovane Gavrilo Princip.
Una ricostruzione storica –secondo diverse fonti, però, inaccurata– narra che il giovane si fosse fermato a mangiare un panino al Moritz Schiller Delikatessen, un prestigioso bar che oggi non c’è più.  Da qui, racconta questo mito, Gavrilo Princip avrebbe visto la carrozza fermarsi prorio davanti alla vetrina. Sarebbe allora uscito, la pistola in borsa. Il resto, è storia.

Foto e testi di Riccardo Cavaliere

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