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Siamo nella Germania del dopoguerra, a Colonia, anche se la città non viene mai nominata. Quello che Heinrich Böll racconta in “E non disse nemmeno una parola” è un Paese in macerie, la distruzione delle città sembra la rappresentazione di ciò che la guerra ha lasciato nella coscienza delle persone.

La trama

Fred e Käte Bogner hanno poco meno di 40 anni e sono sposati da 15, ma da due mesi non abitano più insieme. Lui è andato via dalla piccola stanza in cui vivevano, non riusciva a resistere in uno spazio così angusto con la moglie e i tre figli. Adesso è in affitto presso i Block, e di lavoro fa il telefonista alla curia, arrotondando con lezioni private di varie materie. I soldi, però, non bastano mai, né per lui né per la moglie Käte, che è rimasta sola con i bambini e per giustificare l’assenza del marito, ha detto loro che è malato. È lei che si prende quotidianamente cura di loro, mentre Fred li ha praticamente abbandonati, tra l’altro dopo aver picchiato alcune volte i figli. 

Il romanzo è un lungo preludio al loro incontro, narrato in prima persona dai protagonisti, le cui voci si alternano un capitolo dopo l’altro. Si riuniscono, finalmente, in un albergo di bassa categoria, l’unico che Fred si può permettere, e parlano del loro amore e della loro vita. Lui cerca di riconquistare la moglie che lo ama, sì, ma è stanca del loro rapporto. Quella stanza sembra, per qualche ora, un rifugio dal resto del mondo che, fuori, è in macerie, distrutto dalla guerra. Sullo sfondo s’intravede appena il futuro, la ripresa con la scritta “Affidati al tuo droghiere” che s’illumina, intermittente, sul grattacielo di fronte: un miracolo economico in arrivo, che, però, sarà fondato sui soldi e dunque, ancora una volta, spietato con i più poveri. 

I temi – La povertà e il benessere

La povertà è un tema centrale di questo romanzo. Fred e Käte sono poveri, e questo li distingue dai ricchi vicini di casa o dai padroni dell’appartamento da cui sono a pigione e di cui, racconta Käte “questa esasperata, mortale pulizia mi fa paura” (p.18). Del resto:
“la signora Franke non diventa soave che in rare occasioni: anzitutto quando parla di danaro. Pronuncia quella parola con una religiosa delicatezza che mi spaventa, allo stesso modo con cui altri sogliono pronunciare le parole vita, amore, morte o Dio, adagio adagio, con un lieve terrore e una gran tenerezza nella voce”. (p.19)

Alla mortale pulizia dei ricchi vicini di casa, fa da contrappunto la polvere che, per Fred, è il simbolo della povertà:

“respiriamo da dieci anni come una bianca polvere di cui non si sente né il gusto né l’odore, quell’invisibile, indefinibile ma realissima polvere della povertà che mi sta nei polmoni, nel cuore, nel cervello, che domina l’intera circolazione del mio sangue” (p.43)

Una povertà tale che, racconta Käte, a volte manca persino il cibo:

“Sì, oggi è domenica, e la nostra camera è piena dell’odore di arrosto, e quest’odore basterebbe a farmi piangere, piangere sulla gioia dei bambini, che mangiano carne così di rado” (p.38)


Noi non abbiamo né denaro né energia” dice più avanti Fred (p.59) e, ancora: “Sì” ammise “La povertà è diventata la mia malattia” (p.94)

Ed è una povertà in contrasto con il benessere che inizia ad affacciarsi nella Germania del dopo guerra e che compare nel romanzo con incursioni improvvise, quasi sinistre: i volantini pubblicitari gettati dal cielo dagli aerei il cui rombo ricorda, ovviamente, la guerra, o le insegne luminose che si accendono mentre Fred e Käte parlano in albergo (come quella in cui si legge, tutto in maiuscolo: “AFFIDATI AL TUO DROGHIERE”). 
Anche qui, dunque, ricompare, il discorso sul conformismo che Böll più volte affronta nei suoi romanzi: essere poveri vuol dire essere esclusi, essere dei perdenti, uguali a tanti altri nelle macerie della guerra, non perfettamente conformi all’anelato futuro del Paese. Ma, d’altra parte, la povertà di cui parla Böll è una condizione in qualche modo di purezza, diametralmente opposta a quella di chi si arricchisce a spese degli altri, come è capitato a tanti con la guerra.

“Mi hanno sempre annoiatio gli appartamenti arredati con gusto, mi annoiano senza che io sappia perché.” dice Fred a Käte (p.96). 

E anche:

Non ho mai parlato di uomini in gamba, perché gli uomini in gamba li ho sempre odiati, non riesco a immaginarmi niente di più noioso di un uomo in gamba, la puzza di bravura e di iniziativa gli si sente dall’alito” (p.97).

Un’attitudine quasi beat ante-litteram. In Boll ritorna spesso, una frase simile c’è anche in “Il treno era in orario”:

“ho sempre odiato le persone che avevano ragione e trionfavano quando risultava che avevano ragione davvero: mi avevano sempre fatto l’impressione di gente che si abbona a un giornale ma ha sempre saltato la lettura di alcune righe, dove si parla di forza maggiore, e poi s’indigna in maniera clamorosa quando, un bel mattino, il giornale non arriva piú”.

La Germania in macerie

Questo romanzo di Böll è uno dei più importanti della cosiddetta Trümmerliteratur, la letteratura delle macerie, che dà voce alla Germania dopo la seconda Guerra mondiale.

“Dai cumuli di macerie delle case distrutte la pioggia, in torbidi rigagnoli giallicci o brunastri, scorreva già sul marciapiede, e da certe impalcature sotto le quali passai mi piovvero sul mantello grosse gocce di calce” (p.12)

O, ancora, più avanti, mentre Fred cammina in città:

“Le baracche erano state costruite sulle macerie, se ne stavano lungo il marciapiede tra facciate combuste e crollate. Ma anche tra esse c’erano tabaccherie, negozi di tessuti e chioschi di giornali”. (p.22)

La povertà e le macerie sono lo sfondo, per così dire, di un sentimento di alienazione che domina alcune parti del romanzo, come quando, all’inizio, Fred si rifocilla in una tavola calda e mentre mangia una salsiccia, osserva gli altri avventori:
“Ma accanto al mio volto vidi, nello specchio, il volto dei miei vicini: bocche spalancate per addentar salsicce, palati scuri e profondi dietro i denti gialli” (p.5)
In questo passaggio, un’immagine alla Otto Dix, si coglie un altro tema centrale, secondo me, nel romanzo: un senso di estraneità rispetto agli altri, la difficoltà a trovare punti in comune con il resto del mondo e della società. Fred e Käte riescono a parlare davvero solo quando si ritrovano, soli, alla fiera o chiusi nella stanza d’albergo. 

Del resto, tutto questo, le macerie, la povertà, l’alienazione, è legato alla guerra. Il tema della guerra alla data della pubblicazione di questo romanzo era stato già affrontato da B. in “Il treno arrivò in orario” e “Il pane dei verdi anni”. Qui appare più lontano, ma, le sue conseguenze sulla Germania e sui tedeschi, come su tutti gli uomini dell’epoca, sono devastanti. Anche Fred se lo dice:
“Il basso livello morale a cui mi sono ridotto viene considerato con una certa indulgenza, poiché di me si può dire: ha fatto la guerra” (p.22)
La stessa guerra che, indirettamente, con i suoi imbrogli, ha causato per Käte la perdita di due figli piccolissimi, un episodio che rivive come un trauma:
“So che i miei figli sono morti per via dei pidocchi, che ci è stato venduto un rimedio assolutamente inefficace, prodotto in una fabbrica sostenuta dal cugino del ministro della Sanità, mentre il rimedio buono, efficace, veniva imboscato” (p.36)

Fred, Käte, l’amore

Eppure in questo paesaggio desolato, Fred e Käte si amano. Lei racconta:
“Vidi la candida sigaretta tra le pallide labbra e mi resi conto di amarlo. Mi sono già chiesta più d’unva volta perché lo amo. Non lo so di preciso, i motivi son tanti, ma uno lo so bene: perché è bello andare alla fiera con lui” (p.89)
E quando Käte chiede a Fred perché lui l’abbia sposata, questi risponde:

“Per via della colazione” spiegai. “Cercavo qualcuno con cui poter fare colazione per tutta la vita, e la mia scelta -si dice così, no?- cadde su di te. Sei stata una magnifica compagna di colazioni. E con te non mi sono mai annoiato. Neanche tu con me, spero”: (p.110)

E tra quelle macerie, mentre si dirigono alla stanza d’albergo, Käte si sente male e Fred la aiuta:
“Mi circondò col braccio e mi condusse in un terreno coperto di macerie: intorno a noi, muri carbonizzati, alte muraglie” (p.103).

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