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A Bolzano il commissario comunale che per sei mesi ha sostituito sindaco, giunta e consiglio ha promosso negli scorsi mesi una consultazione popolare per decidere se costruire o meno un centro commerciale che dovrebbe riqualificare una zona della città centrale ma da molti ritenuta degradata. Si tratta del cosiddetto “progetto Benko”, dal nome dell’imprenditore che l’ha proposto e che lo costruirà.
In 7 giorni, dal 29 marzo al 4 aprile, sono andate al voto 34.027 persone, il 36% degli aventi diritto. Con il 64,39% delle preferenze ha vinto il sì: il centro commerciale, dunque, si farà.
Una breve (e assolutamente personale) riflessione critica che parte dai giorni prima del referendum e inserisce il caso di Bolzano in un contesto più ampio. 

Bolzano – La ragazza ci mostra il plastico della città-che-potrebbe-essere con aria entusiasta. “Questo è il centro commerciale -dice- come vedete, intorno c’è la nuova area verde, quella che sostituirà il parco della stazione che adesso, come sapete, è una zona degradata”. Le due coppie a fianco a me annuiscono con aria soddisfatta.
Siamo nello Showroom del Kaufhaus Bozen, a due passi da piazza Walther, il centro di Bolzano. Questo è il quartier generale del gruppo austriaco Signa, e del suo fondatore, l’imprenditore 36 enne René Benko. Si trova al piano terra di Palazzo Menz, edificio che Benko ha acquistato nel 2013, uno dei suoi primi affari in città. Da allora il miliardario austriaco è diventato un protagonista della sfera pubblica altoatesina, soprattutto grazie al suo progetto di centro commerciale: il Kaufhaus Bozen.
Sorgerà nella zona che fa da cerniera tra la stazione ferroviaria e il centro della città, inglobando anche la stazione delle autocorriere e parte del parco prospiciente: aree che molti bolzanini ritengono degradate.

“Ecco, questi sono i rendering, delle idee di come il progetto finito dovrebbe essere”, dice la ragazza indicando le grandi stampe appese ai muri dello showroom. I pannelli colorati mostrano il futuro centro commerciale circondato da ampi spazi pubblici, in strada ci sono mamme con le figlie, alcune coppie, gruppetti di donne, tutte piuttosto giovani, in maggioranza bionde e dalla pelle chiara.
Nessuna traccia dei migranti che oggi sono i maggiori frequentatori di quel parco, né, in generale, di persone di altri gruppi etnici. Quella nei rendering non è la città reale, è, per dirlo con Debord 1, lo spettacolo della città, la città-che-potrebbe-essere, esempio di urbanistica da sogno. Che oltretutto mette in scena un meccanismo tipico dell’inconscio: la rimozione. Nel caso specifico si tratta del tentativo di rimozione di una parte della città vissuta come problematica: gli emarginati, i migranti, coloro che vivono il parco come una seconda casa, a volte addirittura come una prima.
“Mi sembra finto”, fa un uomo a fianco a me, con giacca da motociclista e un casco in mano, guardando il plastico del centro commerciale “è talmente bello che sembra finto! non posso crederci che Bolzano possa diventare davvero così!”.
Dall’altro lato del muro dello spazio espositivo ci sono invece le foto della situazione attuale: piccole, in bianco e nero, una di fianco all’altra, come se codificassero non la realtà -fatta di esperienze vissute e persone reali- ma un incubo da cancellare.

Le foto in bianco e nero della Bolzano "degradata"
Le foto in bianco e nero della Bolzano “degradata”

Ombre nella città – Che una parte della città abbia un problema con i migranti non è un mistero. “Con il centro commerciale avremo un  bel quartiere, dove si potrà passeggiare liberamente”, mi dice un uomo al parco della stazione, e aggiunge: “anche le famiglie potranno girare nel parco senza problemi per colpa degli extracomunitari. Questa non è una zona per gli extracomunitari, dovrebbero stare altrove”.
Questo altrove vuol dire lontano dal centro, cioè lontano dagli sguardi di chi in centro vi abita ma anche da quelli dei turisti.

Allo stesso tempo il centro commerciale -o meglio i centri commerciali, visto che in città ce ne sono diversi- potrebbe essere il luogo d’incontro di cui i bolzanini hanno bisogno da tempo. Almeno secondo alcuni. In una lettera al Corriere dell’Alto Adige, un lettore scrive, riferendosi a un altro centro commerciale bolzanino, che esso offre “la possibilità di passeggiare per i suoi corridoi senza per forza fare acquisti, ma anche solo per lasciarsi coinvolgere da una folla vivace e animata, merce rara dalle nostre parti (…), la possibilità di godersi un mix di divertimenti differenziati costituito da cinema, shopping, ristoranti e caffetterie”. Insomma godere di spazi comuni, ma non pubblici. Realizzando una fantasia sulla città che sembra più legata a un immaginario di inizio Novecento che non alla realtà attuale. In sostanza al diritto alla città 2 si sostituisce la rivendicazione del diritto al centro commerciale (uno spazio fintamente pubblico) come spazio di vita comune, luogo di vivibilità della città per eliminare il degrado, significa però anche rivendicare la possibilità di escludere chi nel centro commerciale non potrà entrare o non sarà ben visto, che è poi anche chi è considerato all’origine di quel degrado.
Quella sul progetto Benko a Bolzano è stata una riflessione sulla possibilità di privatizzare non solo uno spazio pubblico, ma anche un modo di vivere lo spazio pubblico e dunque la propria vita.

Debord: l’urbanismo come compimento del potere di classe

La dinamica del pensiero sul centro commerciale, frutto in parte di un malinteso su cosa sia lo spazio pubblico, però, non è unica e ricorda anzi almeno altri due casi che riguardano Bolzano. Il primo è quello  del wifi al Museion, il secondo quello della biblioteca civica. Li riassumo di seguito. Chi non fosse interessato può passare direttamente avanti cliccando qui.

Il parco della stazione, tra le zone ritenute più degradate di Bolzano
Il parco della stazione, tra le zone ritenute più degradate di Bolzano

Il wifi del Museion – Il museo di arte contemporanea di Bolzano ha offerto per un lungo periodo una rete wifi gratuita all’esterno dell’edificio. Era così possibile anche per i migranti collegarsi a internet tramite cellulare e comunicare con la propria famiglia. All’esterno del Museion si potevano vedere gruppi di profughi o richiedenti asilo fermi con il telefonino in mano, spesso gli auricolari nelle orecchie, uno a fianco all’altro. Nel periodo estivo dell’anno scorso, quando Bolzano, città quasi di frontiera, era un punto di transito e sosta per i migranti, in alcuni giorni c’era anche un certo affollamento.
La presenza di questi gruppi palesemente non autoctoni ha fatto sì che la Lega Nord decidesse di protestare: non è giusto -dicevano- che i migranti sfruttino il wifi libero, che in fondo è pagato con i soldi dei cittadini.
E, sempre per protesta, ci fu addirittura chi fece delle scritte sulle panchine all’esterno del Museion:”Bolzano ai bolzanini”. Azioni che però non sono state in grado di dissuadere gli utilizzatori della rete.
Finché il Museion non ha deciso di spegnere il wifi durante le vacanze natalizie, rendendolo accessibile solo con una password. La direttrice Letizia Ragaglia ha giustificato la decisione dicendo che non aveva niente in contrario ai migranti o al fatto che usassero la rete, però il Museion stava diventando quasi un centro d’accoglienza, visto che diversi soggetti non si limitavano a usare internet ma entravano nell’edificio.
Molti migranti si sono semplicemente spostati di un centinaio di metri, in piazza Domenicani, per usufruire di un’altra rete wifi gratuita. Anche qui, però, nuove polemiche e la Lega Nord ha indetto addirittura una raccolta firme per restringere l’accesso anche a quella rete wifi. Insomma, rivendicare l’accesso a un proprio diritto per definire al contempo chi ne deve essere escluso: soggetti da emarginare.

L'esterno del Museion dove molti migranti si fermavano a usare il wifi
L’esterno del Museion dove molti migranti si fermavano a usare il wifi

La biblioteca civica – Anche nella biblioteca civica di Bolzano la presenza dei migranti, profughi e senzatetto ha causato polemiche, con conseguente risonanza mediatica. Sono troppi, diceva e dice qualcuno, e usano la biblioteca in modo improprio: passano ore seduti ai tavoli, sui divanetti, qualcuno addirittura dormendo. Insomma, usano lo spazio pubblico in modo non regolamentato. Dunque l’accesso va ristretto, è stato proposto: magari ai soli cittadini con documento di riconoscimento. Per evitare che la biblioteca diventi un centro profughi.

Il parco nei primi giorni di primavera
Il parco nei primi giorni di primavera

 

Il buon governo e il buon commercio – Quelli del Museion e della biblioteca civica sono solo due esempi che, però, riproducono bene l’atmosfera con cui ci si è avvicinati al voto per il cosiddetto “progetto Benko”, un centro commerciale in pieno centro cittadino.
Se ne parlava, però, dal 2013: da quando la legge urbanistica provinciale è stata modificata per dare a soggetti privati la possibilità di proporre al pubblico quali aree riqualificare. Il consiglio comunale nel 2015 aveva votato contro il progetto. Proprio prima delle dimissioni, però, il sindaco Spagnolli riconvocò la conferenza dei servizi, un organo pubblico incaricato di valutare un nuovo accordo con la Signa, la società di Benko. Sul nodo è, in un certo senso, anche caduta una giunta comunale, portando la città al commissariamento. Proprio il commissario straordinario di nomina ministeriale, Michele Penta, ha proposto una consultazione popolare formalmente sulla “riqualificazione dell’area dell’autostazione”, praticamente sul “progetto Benko”, ovvero: centro commerciale sì o no.

La campagna referendaria è stata lunga e si è giocata in buona parte sul tema del degrado e della conseguente necessità di riqualificazione. Quando nel parco della stazione è aumentata la presenza di senzatetto o profughi (spesso di passaggio a Bolzano perché diretti in Nord Europa), allora è diventato terreno di scontro e sono nate iniziative dei cittadini per rivendicarne il possesso e, in sostanza, privatizzarlo.
Nel tempo si è sempre più diffusa una narrazione del paesaggio centrata sul degrado e sulla necessità di respingerlo per riconquistare la “propria” città (e restituirne la fruizione ai turisti).
Le immagini di questa città sono quelle di un’urbanistica moderna e ordinata, che si presenta come presupposto per una società più sicura ma non più giusta, perché i soggetti più “scomodi” ne verrebbero esclusi, neutralizzandoli.

Non sorprende, dunque, che per esempio anche Casapound Bolzano abbia deciso di appoggiare il progetto di centro commerciale del magnate austriaco. Il movimento-partito in città ha assunto una certa visibilità anche grazie all’elezione di un consigliere comunale nella scorsa legislatura. Nei mesi scorsi Casapound ha sostenuto diverse iniziative contro il degrado, elemento centrale della sua azione politica. Al punto che tra le clausole per l’accettazione del progetto Benko c’era anche:
L’eliminazione, a norma di legge, del degrado attuale mediante riqualificazione e servizi di vigilanza.

Il potere occupa la città – Nei mesi, sul progetto si è verificata una convergenza di interessi che ha portato allo sviluppo di un potere urbanistico diffuso e relazionale, in grado di influenzare la percezione degli spazi. Sempre di più nel discorso pubblico e mediatico si è fatto ricorso al degrado, mentre al contempo la presenza del gruppo Signa in città è aumentata con l’acquisto di diversi edifici. In breve, il progetto del centro commerciale ha guadagnato l’appoggio della maggioranza dei partiti.
La consultazione popolare, inoltre, non è stata disciplinata dalle regole della par condicio e questo ha permesso di condurre una campagna senza risparmio di mezzi da parte del gruppo Signa. Per usare le parole di Roland Turk, del Comitato provinciale per le comunicazioni, “nel caso Benko hanno diffuso pubblicità in maniera massiccia persone che avevano un interesse soggettivo alla realizzazione del complesso edilizio”.
Sul versante opposto c’era il cosiddetto “fronte antibenko”, composito ma -a giudicare dall’esito del voto- non altrettanto efficace: ha votato, è vero, il 36% degli aventi diritto, ma  la maggioranza si è espressa per il centro commerciale.

La città panottica e l’apparato di produzione – Riprendendo Foucault 3, si può dire che a Bolzano su scala urbana è stato ricostruito un Panopticon (il famoso esempio rispreso da Bentham), in sostanza un automatismo che deindividualizza il potere, smaterializzandolo e rendendolo più difficile da percepire e individuare, ma contemporaneamente ne lascia perfettamente visibili gli oggetti, in questo caso i responsabili del degrado, le ombre indesiderabili della città.
Con il Panopticon, scrive Foucault “non è necessario ricorrere a mezzi di forza per costringere il condannato alla buona condotta, il folle alla calma, l’operaio al lavoro, lo scolaro alla concentrazione, il malato all’osservazione delle prescrizioni”, per questo motivo, insomma, lo schema panottico è destinato a diffondersi nel corpo sociale e diventarne una funzione generalizzata, programmando una società attraversata da meccanismi disciplinari.
Queste dinamiche vanno in scena in una città-spettacolo che mette in mostra se stessa come merce in cui gli spazi tendono a identificarsi con i prodotti, diventando beni da acquistare e vendere agli abitanti e ai turisti (tra i leitmotiv dei fautori del progetto Benko, anche “l’intento di rafforzare il ruolo di Bolzano come polo economico e turistico  internazionale”).

Foucault: i dispositivi di sorveglianza nella città si applicano a un apparato di produzione

Il tessuto di questa città è costruito anche attraverso una serie di dispositivi che esercitano un potere omogeneizzante, e “ciò a cui si applicano questi dispositivi non sono le trasgressioni rispetto alla legge centrale ma rispetto a un apparato di produzione -il commercio, l’industria”4. Ovviamente questa lettura “urbanistica” di Foucault non è certo applicabile solo a Bolzano, ma in parte all’idea stessa di città moderna e al suo ruolo nel sistema economico (locale e, ormai, anche globale).

Diritto alla città – Il sociologo urbano Robert Park dice che la città è “il tentativo umano più duraturo e, in complesso, di maggior successo, di rifare il mondo in cui vive in modo che corrisponda al desiderio del suo cuore”. La città, insomma, rappresenta desideri e caratteristiche della collettività. O meglio, dovrebbe. Di fatto chi ha il diritto alla città? Secondo il geografo statunitense David Harvey le trasformazioni urbane hanno sempre avuto una dimensione di classe e in molti casi implicano delle forme di violenza. Anche in una piccola, tranquilla, città come Bolzano la trasformazione sembra avvenire secondo rapporti di forza, seguendo le linee di una politica urbanistica orientata da interessi che non sono profondamente pubblici e che hanno un riscontro in tendenze più ampie, come quelle dell’economia globale. Del resto, nota Harvey, l’urbanizzazione crescente ha avuto storicamente un ruolo cruciale nell’assorbire il surplus di capitale, ma questo è avvenuto a discapito del diritto alla città, e a decidere di essa, da parte delle masse.
In cambio della cessione di questo diritto spesso non è stato chiesto più controllo sul surplus del capitale, bensì quello che sembra un risarcimento solo fittizio: meno degrado. E magari, un centro commerciale.

-Testi e foto di Riccardo Cavaliere

NOTE

  1. Guy Debord (1931-1994), filosofo e artista surrealista, la citazione qui si riferisce al suo “La società dello spettacolo”. A proposito delle di alcune modifiche della struttura delle città, Debord parla di urbanistica come mezzo per salvaguardare il potere di classe.
  2. Di diritto alla città parla Henri Lefebvre nel suo libro intitolato, appunto, “Il diritto alla città”
  3. Filosofo francese, in questo testo i riferimenti sono alla sua opera “Sorvegliare e punire” nell’edizione francese del 2015, le traduzioni sono mie
  4. Sempre Sorvegliare e punire, Foucault, p.360
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